Segnalata tra i best of 2024 di Vogue, Jezabelle Cormio, giovane designer che nel 2019 ha fondato l’omonimo brand, sembra aver intuito quali siano le istanze della Gen Z, dalla quale il fashion system non può più prescindere. Le sue creazioni, in cui l’estetica austriaco-tirolese e lo stile punk convivono alla perfezione, spiccano infatti per due caratteristiche fondamentali: la dimensione green e il significato sociale.
La poetica di Jezabelle Cormio: un abito da principessa e una palla da calcio
Secondo la filosofia della designer, l’abito è prima di tutto un mezzo di autorappresentazione: le sue collezioni rispondono alla necessità di divertirsi scomponendo e ricomponendo l’immagine di sé a proprio piacimento. Innumerevoli volte. Un dettaglio fondamentale per un'epoca in cui la fluidità è una prerogativa.
Un tratto utile a definire l’estetica di Cormio è l’appropriazione culturale nei confronti di elementi che appartengono tradizionalmente all’identità maschile: l’obiettivo è quello di creare una contaminazione che si evolva fino a diventare un linguaggio alternativo alle distinzioni di genere. Si tratta di un atto di ribellione nei confronti dei codici precostituiti di maschile e femminile, che permetta a chiunque di esprimersi seguendo le proprie regole.
Il desiderio è quello di guardare al futuro incarnando i valori della contemporaneità secondo svariate prospettive e stili, con un approccio irriverente ma allo stesso tempo fondato sull’artigianalità e sul patrimonio folcloristico italiano, unendo la fantasia alla realtà.
La storia e l’etica glocal del brand
È necessario segnalare due tappe fondamentali che hanno segnato la storia di Cormio: la collaborazione con Gucci Vault e il Camera Moda Fashion Trust Grant 2022. Nel primo caso si tratta di un concept store online fortemente voluto dal precedente direttore creativo della maison Gucci, Alessandro Michele, per dare visibilità a dei crossover culturali attraverso il vintage e le proposte di talenti emergenti. Nel secondo invece, di un’iniziativa promossa dalla fashion community filantropica Camera Moda Fashion Trust per garantire supporto finanziario e un percorso di business mentoring ai brand indipendenti del Made in Italy che si contraddistinguono per creatività, strategia e pratiche sostenibili.
Si tratta di due riconoscimenti impliciti della validità della vision di Cormio e del suo impegno per la riduzione dell’impatto sociale e ambientale del sistema moda. Una pratica interessante in questo senso è quella dell’upcycling, che consiste nel «riutilizzare oggetti o abiti per creare un prodotto di maggiore qualità, reale o percepita», e di cui Jezabelle Cormio ha dato ottima prova. La designer si impegna per discostarsi dalle dinamiche iper-veloci della produzione cercando di donare ad ogni capo un senso molto forte di esistere: le collezioni sono infatti realizzate prettamente artigianalmente, con attenzione alla tracciabilità e alla collaborazione con realtà manifatturiere italiane.
È in questo modo che il brand acquisisce una dimensione glocale: globale per la visione e la volontà di parlare ad un pubblico il più ampio e variegato possibile, locale per l’ispirazione che trae dal patrimonio culturale italiano e l’impiego di materie prime ricavate dal territorio, oltre che per le radici nell’immaginario tirolese.
Why you scared?
Con le sue collezioni Jezabelle Cormio ha saputo regalarci una rilettura della femminilità che cerca di uscire dai canoni. Particolarmente ossessivo nell’ultima sfilata è stato il binomio donne-paura, in una narrazione ambivalente divisa tra la paura provata dalle donne e quella che queste ultime sono in grado di suscitare quando assumono posizioni di potere.
Il concept è nato da una riflessione personale della designer, scaturita dall’osservazione di ciò che la circonda: a partire dalle proteste in Iran e dalla violenza riportata dai media italiani, passando per la negazione del diritto all’aborto negli Stati Uniti, fino ad arrivare alla dimensione personale delle conversazioni con amici. Ha dunque cercato attraverso la sua arte di rivendicare la posizione delle donne nella società, attraverso un’estetica apparentemente dissacrante con forti rimandi agli anni duemila e una narrazione fatta di parole e musica che desse voce alla sua posizione.